MOLDAVIA: per l’antiriciclaggio uno stato white list a pieno titolo!

Quali sono i paesi della Black list o della white list per l’antiriciclaggio? Analizziamo come questo può influenzare l'economia e il commercio della Moldavia.
Moldavia white list
INDICE

INTRODUZIONE

Certamente quando parliamo di uno stato cosiddetto, secondo la vecchia dicitura, “white-list” o “black-list”, pensiamo subito alla lista dei BUONI e CATTIVI. Ma relativamente a cosa? Quali sono i criteri per questa distinzione? E chi produce questa lista? Come è evoluta la nomenclatura di queste liste? Quali sono i paesi della Black list o della white list per l’antiriciclaggio? E ancora… Quali conseguenze fiscali e giuridiche si applicano allo straniero che decide di relazionarsi con uno stato appartenente all’una o all’altra lista per interessi economici, investimenti, attività produttive o semplicemente andarci a vivere? Andiamo per gradi.

Facciamo finta che le tasse servano ad uno stato per avere le risorse necessarie a offrire determinati servizi ai suoi cittadini (in realtà la questione è ben diversa: una nazione con sovranità monetaria e quindi capace di stampare denaro a proprio debito e non verso terzi, non ha bisogno dei proventi delle tasse per sostenere e garantire dei servizi, ma questa è tutta un’altra faccenda ……. per cui andiamo oltre).


Per il precedente finto ma ben propagandato presupposto, diventa quindi eticamente accettabile una moderata/equa tassazione dei propri redditi per il cittadino che vede nello stato una protezione in termini di sicurezza sociale, assistenza sanitaria, istruzione, viabilità, ecc.


Per tutti quelli che non accettano il livello di tassazione del proprio paese perché ritenuto esagerato o inaccettabile a prescindere, forte diventa la tentazione di trasferire la produzione della ricchezza in nazioni meno pretenziose con il contribuente. Di contro ogni stato pretende la sua fetta di tassazione per i beni ivi prodotti ma difficilmente si accontenta di rinunciare ai redditi prodotti altrove da un suo cittadino. Si aggiunga che molte nazioni, attraverso il fascino di una bassa pressione fiscale, instaurano una vera e propria “concorrenza fiscale” verso le altre vicine, attraendo (o per meglio dire sottraendo) l’investitore sensibile ai privilegi fiscali. Tale concorrenza, se pur utile a calmierare l’esuberanza di quegli stati che pretendono troppo dai loro cittadini, (vi viene in mente qualcuno?) deve comunque rispettare regole di reciproco rispetto e convivenza tra le nazioni e comunque disincentivare (anziché proteggere) comportamenti fraudolenti del cittadino attraverso la certezza della pena. Purtroppo, non tutti gli stati la pensano allo stesso modo!


E allora…come mettere ordine nel marasma di situazioni ambigue che spesso si vengono a creare tra stato e stato nel giudicare quali siano i giusti criteri da adottare per la tassazione del cittadino locale o straniero che produce reddito?


Le varie amministrazioni fiscali di ogni nazione si sono relazionate nei secoli per maturare una lista, sempre in divenire anno dopo anno, di stati considerati Buoni o Cattivi degli uni verso gli altri, in modo da codificare le proprie norme e far rigar diritto i propri cittadini.

NOMENCLATURA

Se in passato veniva spesso usato il termine di “Paradisi fiscali” per indicare quelle nazioni aventi tassazione bassa o nulla e che non comunicano (previa richiesta o in via automatica) i dati dei cittadini stranieri al loro stato di provenienza, oggi si preferisce nominarli come paesi appartenenti alla BLACK LIST (ex paradisi fiscali oggi preferibilmente detti “a fiscalità privilegiata”) in contrapposizione ai paesi WHITE LIST (“a fiscalità non privilegiata”).


I paesi black list, quindi, non cooperano e collaborano con gli altri stati per la lotta all’elusione fiscale a livello globale, e sono i “cattivi” da punire. La lista e anche la disciplina applicata a essi è in continua metamorfosi perché dipendente dal variare dalle performance dei paesi in essa inclusi; inoltre vi sono DIVERSE Black list a seconda dello scopo che intende perseguire la normativa fiscale in riferimento ai soggetti coinvolti, siano essi persone fisiche o giuridiche. Per districarci in questo apparentemente semplice e invece compresso labirinto di elenchi e regole, cerchiamo di selezionare le varie casistiche e gli attori in causa.

CHI COMPILA QUESTE LISTE E COME VENGONO IDENTIFICATI I PAESI BLACK LIST?

È dal 1998 che spetta all’OCSE identificare gli stati black list individuando:

  • La mancanza di imposte sui redditi delle imprese costruite nei propri territori
  • La mancanza dell’obbligo per le società ivi costituite di svolgere in loco un’effettiva attività d’impresa
  • Poca trasparenza del sistema amministrativo e legislativo
  • Assenza di scambio di informazioni tra i paesi impedendo una efficace lotta alla evasione ed elusione fiscale (antiriciclaggio)

Possiamo concludere che se anche permane in numerosi paesi un basso livello di tassazione sulle società, molti progressi sono stati fatti sul fronte della trasparenza fiscale a livello internazionale ai fini della lotta alla evasione ed elusione fiscale e riciclaggio di capitale ottenuto illegalmente. Un esempio per tutti la Moldavia che oggi è a pieno diritto, nonostante il suo basso livello di tassazione, nella lista degli stati white list soprattutto in ragione del livello comunicativo e di trasparenza fiscale. (Vedi oltre).

Ricordando che quello che per uno stato è black list non è detto che lo sia per altri stati, ecco la lista degli stati Black list agli occhi della Unione Europea dopo l’ultimo aggiornamento del 14 febbraio 2023(comprende 16 stati):

American Samoa, Anguilla, Bahamas, Fiji, Guam, Palau, Panama, Samoa. Trinidad and Tobago, Turks and Caicos Islands, US Virgin Islands, Vanuatu, (e appena aggiunti il 14 febbraio 2023: isole vergini britanniche, costa rica, isole marshall, Russia).

Di fatto questa Black list non ha valore coercitivo; semplicemente questi stati non potranno ricevere aiuti dalla UE (salvo aiuti allo sviluppo). Imprese e privati possono continuare ad averci a che fare, ma incontrando vincoli e norme più stringenti dall’antiriciclaggio UE che cerca di disincentivare le relazioni economiche con queste latitudini.

COME VENGONO CLASSIFICATI I PAESI BLACK LIST PER L’ITALIA?

1) Paesi Black list per le PERSONE FISICHE:


Ancora una volta, si ricorda che per un contribuente persona fisica che si trasferisce in uno dei paesi della Black list sotto riportata, il fisco italiano gli attribuisce la residenza fiscale italiana, con obbligo di pagare anche in Italia le tasse per i proventi generati all’estero.

In questo caso spetta al contribuente l’onere della prova: dichiarare e dimostrare al fisco italiano, con documenti alla mano, che il trasferimento della residenza fiscale all’estero sia effettivamente avvenuta e che rispetti i requisiti previsti dalla normativa italiana. In mancanza di ciò vi è la presunzione di “esterovestizione” per mancata presentazione del quadro RW inerente alle attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero.

L’elenco (ancora in vigore oggi marzo 2023) è contenuto nel Decreto Ministeriale 4 maggio 1999 ed è il seguente (55 stati):

Alderney, Andorra, Antigua e Barbuda, Antille Olandesi, Aruba, Bahama, Bahrein, Barbados, Belize, Bermuda, Brunei, Costa Rica, Dominica, Emirati Arabi Uniti, Ecuador, Filippine, Gibilterra, Gibuti, Grenada, Guernsey, Hong Kong, Isola di Man, Isole Cayman, Isola Cook, Isole Marshall, Isole Vergini Britanniche, Jersey, Libano, Liberia, Liechtenstein, Macao, Malaysia, Maldive, Mauritius, Monserrat, Nauru, Niue, Oman, Panama, Polinesia Francese, Principato di Monaco, Sark, Seicelle, Singapore, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Svizzera, Taiwan, Tonga, Turks e Caicos, Tuvalu, Uruguay, Vanuatu, Samoa.

2) Costi Black list:

Sono INDEDUCUBILI le spese e i componenti negativi dei redditi derivanti da operazioni intercorse con imprese e professionisti residenti in stati a fiscalità privilegiata dovuta non tanto dal basso livello di tassazione ma unicamente dovuta a un insufficiente scambio di informazioni con l’Italia.
Si specifica tuttavia che la deducibilità è possibile nei limiti dei “valori normali” delle spese e componenti negativi di reddito, e comunque solo nel caso questi abbiano avuto “concreta esecuzione”. Una serie di regole che qui trascuriamo definisce i criteri per individuare il “valore normale”. Non mancano inoltre le eccezioni ai criteri d’indeducibilità dei costi black list, ma non è compito di questo articolo complicare la vita al lettore che comunque dovrà appoggiarsi a un consulente professionista nel caso un giorno debba applicare queste specifiche tematiche alla propria attività estera.
La lista di riferimento dei paesi a fiscalità privilegiata è quella individuata dalla UE. (vedi sopra).

3) Paesi Black list per Società Controllate Estere (CFC – Controlled Foreign Companies)

A decorrere dal 2019 un Paese può definirsi black list se, oltre a non far parte dell’Unione europea e nemmeno dello Spazio economico europeo, garantisce alle imprese controllate una tassazione effettiva inferiore al 50% di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia (unitamente anche al fatto che oltre 1/3 dei proventi conseguiti siano riconducibili a passive income o a determinate operazioni economiche a “rischio evasione”, salvo che il soggetto non sia dotato di una certa sostanza economica).
Tale criterio deriva dal recepimento delle indicazioni dell’OCSE e contenute nel progetto BEPS (“base erosion and profit shifting”)

A seguire la lista degli stati white list aggiornata ai dati pubblicati nella gazzetta ufficiale italiana n. 110 del 12 maggio 2022:

Albania, Andorra, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita, Argentina, Australia, Austria, Arzebaijan, Barbados, Bahamas, Bahrain, Belgio, Belize, Bermuda, Bonaire, Brasile, Brunei, Bulgaria, Canada, Cile, Cipro, Colombia, Corea, ( Costa Rica?), Croazia, Curacao, Danimarca, Dominica, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Estonia, Federazione Russa, Finlandia, Francia, Germania, Ghana, Giamaica, Giappone, Gibilterra, Grecia, Grenada, Groenlandia, Guernsey, Hong Kong, India, Indonesia, Irlanda , Islanda, Isola di Man, Isole Cook, Isole Faroe, (Isole Marshal?), Isole Turks e Caicos, (Isole Vergini Britanniche?), Israel, Jersey, Kazakistan, Kenya, Kuwait, Lettonia, Libano, Liberia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malesia, Malta, Marocco, Mauritius, Messico, Moldavia, Monaco, Monserrat, Nauru, Nigeria, Niue, Norveg. Nuova Zelanda, Oman, Paesi Bassi, Pakistan, Panama, Perù, Polonia, Portogallo, Qatar, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Popolare Cinese, Repubblica Slovacca, Romania, Saba, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Granadines, Samoa, San Marino, Seychelles, Singapore, Sint Eustatius, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Turchia, Uganda, Ungheria, Uruguay Vanuatu.

CONCLUSIONI

eccoci al punto che ci interessa: perché la Moldavia è white list per il fisco italiano?

Perché da un lato il fisco moldavo impone una tassazione delle imprese flat tax del 12%, pertanto anche per le società CFC siamo a un regime non inferiore al 50% della tassazione in Italia (24% di IRES) (vedi sopra punto 3) e dall’altro lato perché la Moldavia, pur non appartenendo agli stati del CRS, “collabora” con la comunità internazionale fornendo su richiesta i dati del contribuente allo stato di appartenenza del richiedente.

Insomma, niente male per una Repubblica che se pur giovane, dimostra davvero di voler annullare in tempi record il gap con gli stati della vicina comunità europea in tema di lotta alla corruzione, trasparenza del sistema bancario, condivisione dei dati fiscali mirata alla lotta alla evasione ed elusione fiscale; il tutto mantenendo fede a una modesta pressione fiscale che lascia spazio alle imprese locali di crescere e che sempre più attrae imprese straniere desiderose di latitudini a minor carico fiscale.